E finalmente il giorno di Marcelo Barros è arrivato. L’incontro con un grande uomo, alto e pacioso, tranquillo, semplice e incisivo come solo chi ha la Pace nel cuore sa essere.

Così il teologo, biblista, monaco benedettino brasialiano si è presentato alla comunità nicese e diocesana che ha partecipato all’incontro di formazione organizzato dall’Azione Cattolica. Tanti giovani, persone impegnate con Don Pasquale Forin, soci di AC e fedeli “normali” che si sono lasciati coinvolgere utilizzando una domenica per ascoltare la Parola del Signore “incarnata” nella storia contemporanea.

E Marcelo Barros, che doveva essere con oltre 3.000 giovani della Chiesa nella capitale del Brasile per aiutare le politiche del loro paese affinché siano sempre più utili alla condivisione dei beni evitando nuovi poveri e discriminazioni ingiuste, per una serie di coincidenze era in Diocesi  di Acqui a condividere una domenica con 130 persone (che per noi è già molto), spezzare il pane, masticare la Parola insieme. Lui con il Suo bagaglio di esperienza, senza enfasi eccessive o nemici da additare, con l’idea fissa della Chiesa comunità di persone che condividono il cammino, era a Nizza con fratelli nella fede a vivere il progetto di Dio sugli uomini: amarsi gli uni gli altri come Lui ci ha amati.

Sono molte le cose che il discepolo di Helder Camara ci ha lasciato, provo a sintetizzarne qualcuna, con l’impegno di offrire un resoconto sul sito dell’AC (o a chiunque lo richieda) www.acquiac.org.

Il titolo dell’incontro, scelto dai giovani, era “Il sapore della libertà” e lui è partito con il dire che le regole sono una cosa buona, sono il modo di organizzarci e quindi la Chiesa fa bene a dare delle regole, se però queste ci ingabbiano, perdiamo il senso per cui ci sono state donate. Allora bisogna fermarsi, capire e non diventare esecutori di regole svuotate (un problema con il quale si era già confrontato Gesù. n.d.r.).

Ci ha spronato ad avere un progetto nella vita, ha ammesso che uno dei problemi di questo tempo è il non avere idee chiare per il bene di tutti, l’individualismo ha spolpato i sogni di “bene comune” facendoci perdere l’orientamento, creando persone sole e in balìa degli eventi, funzionali al sistema economico che, così com’è impostato, costringe per esempio (in Brasile, ma possiamo sentirci coinvolti anche noi) gli sposi a vivere da separati e i padri a non veder crescere i figli perché ci sono uomini che devono alzarsi alle 5 del mattino, fare 2 ore di strada per andare a lavorare e tornano alle 9-10 di sera senza poter condividere la vita con la famiglia.

Ha detto che Dio è da cercare, sta nel profondo della nostra vita e dobbiamo scavare dentro di noi, non possiamo viverlo in superficialità. In tutti i tempi il nome di Dio è stato “usato” per vari scopi e Lui non si è mai ribellato, ha lasciato che gli uomini crocifiggessero anche Suo Figlio senza intervenire. Ognuno di noi si deve chiedere come può aiutare Dio a mostrare la Sua vera faccia al mondo, ognuno di noi può/deve aiutare Dio. Siamo abituati a pensare che deve essere Lui ad aiutarci, ma dobbiamo pensare che anche Lui ha bisogno di noi per “salvare” la Sua immagine tra gli uomini.

Infine ha parlato del progetto di Dio come un progetto che arriva a tutti gli uomini, un progetto di Vita per tutti, di libertà, pace e giustizia, un progetto che non mette steccati tra Dio e l’uomo anzi che ricerca la comunione dove il divino si fa uomo e l’umano diventa divino. Ha distinto tra devozione e fede, ci ha spronato a vivere la dimensione comunitaria, il dialogo, il coraggio di andare oltre le formule ripetute per entrare in contatto con Dio e con gli uomini, contemporaneamente (non possiamo pensare di essere vicini a Dio se non siamo vicini agli uomini) proponendo di camminare insieme, di fare gruppi, di essere impegnati a condividere parole e vita con gli altri.

A questo punto ha proposto 3 domande riepilogative a cui ognuno doveva rispondere: hai un progetto di Vita? Come puoi aiutare Dio a mostrare la sua vera immagine? Come pensi di farlo nella tua comunità? Quindi si è fermato!

Anche la sua presenza è stato il segno visibile di un pensiero, di un metodo comunitario, evangelico: ognuno ha qualcosa da mettere in comune, per cui anche lui ha taciuto e ascoltato, rimanendo tutto il giorno con noi.

Ha poi celebrato la Messa, ci ha invitato a farci “fisicamente” vicini attorno all’altare nel momento della preghiera eucaristica, ha detto che Gesù ci chiama a sé, nella sua più profonda intimità, proprio durante l’Eucarestia. Nel riproporre quei gesti, quel segno-sacramento dell’ultima cena fatta con i suoi amici, Gesù ci invita ogni domenica a vivere l’intimità con lui e con i fratelli. Non dobbiamo tenere le distanze, dobbiamo farci prossimi al Signore e ai fratelli, è quello che Lui desidera, è quello che può trasformarci in uomini e donne capaci di costruire il Suo progetto di pace, libertà, giustizia, amore tra i fratelli.

Molto, molto altro è scaturito da quell’incontro, ma la cosa più importante è stato viverlo, è contagiarsi, è evangelizzare portando i frutti e non volendo essere esaustivi nei concetti. La fede non è dire tutto, la fede accetta e non si oppone ai dubbi o all’incompletezza, la fede si oppone all’indifferenza, alla freddezza. Buon cammino di comunità a tutti. E grazie Marcelo!